I nostri dispositivi ci leggono nel pensiero?
09-06-2025
Perché non serve un microfono sempre acceso per prevedere ogni nostra mossa
LIBERTÀ
09-06-2025
Perché non serve un microfono sempre acceso per prevedere ogni nostra mossa
Eppure, nonostante l’idea che il nostro smartphone ci ascolti di continuo sia ormai un mito popolare, la verità è allo stesso tempo più rassicurante e più inquietante. Immaginate di chiacchierare con un amico dei vostri sogni di vacanza alle Seychelles: sabbia candida, mare cristallino e tramonti da cartolina. Tre ore dopo, eccolo lì, l’annuncio di un volo low-cost per Victoria che appare all’improvviso su Instagram. La reazione istintiva è sospettare che il telefono vi stia “spiando”. In realtà, però, la spiegazione è un’altra.
Innanzitutto, il microfono del vostro iPhone o del vostro dispositivo Android non resta acceso h24 in attesa di catturare ogni vostra parola. I sistemi operativi mobili più diffusi hanno introdotto indicatori visivi (un puntino arancione in un angolo dello schermo su iOS, verde su Android) che segnalano la presenza di un’app che accede al microfono. Quella lucina non è un semplice vezzo grafico, ma un guardiano digitale: quando la vedete, sapete in tempo reale che “qualcuno” sta ascoltando. E non è tutto: potete controllare in qualsiasi momento le impostazioni di privacy, decidendo se un’app possa utilizzare il microfono solo mentre la usate o affatto. Superare questi meccanismi richiederebbe un attacco di livello governativo, con exploit costosissimi e altissimo rischio di scoperta, ben lontano dai malware che si scaricano da store poco affidabili.
Più temibile del microfono sempre acceso, però, è il cosiddetto “data exhaust”, la scia di dati che lasciamo a ogni interazione digitale. Ogni nostro movimento sullo schermo viene raccolto, analizzato e trasformato in un profilo dettagliato (dal tempo speso a scorrere un video su Instagram al minimo clic per mettere in pausa un film su Netflix). Sono queste informazioni, incrociate e interpretate da potenti algoritmi di machine learning, a capire che state sognando sabbia bianca e acqua turchese, senza dovervi per forza ascoltare con un microfono aperto.
Ma non è finita qui. Le informazioni sulla vostra posizione geolocalizzata sono un altro tassello fondamentale di questo puzzle. Ogni volta che vi fermate davanti a una concessionaria d’auto, o che passate più volte davanti a un negozio di abbigliamento, quel dato finisce nei registri del marketing di prossimità. Attraverso tecnologie come il geofencing, che delimita aree virtuali attorno a punti vendita, e i beacon Bluetooth posti nei locali, le aziende possono inviarvi offerte personalizzate nel momento stesso in cui entrate in un’area interessata. Il risultato è che ricevete coupon per il caffè o sconti su scarpe sportive proprio quando varcate la soglia del bar o del negozio.
Un altro capitolo cruciale è rappresentato dai cookie di terze parti, quei piccoli file che accettate distrattamente cliccando “ok” sul banner dei cookie. Ben oltre il semplice tracciamento di pagine visitate, i cookie persistenti e i supercookie (strumenti che resistono anche alla cancellazione manuale) ricostruiscono la vostra navigazione dall’alba al tramonto. Incrociando dati demografici, interessi, storico degli acquisti e abitudini di consumo, le piattaforme riescono a disegnare un profilo psicografico sorprendentemente preciso. È così che vi propongono annunci che sembrano leggere nella vostra mente.
Nel settembre 2024, la vicenda di Cox Media Group ha portato questi temi al centro dell’attenzione globale. L’azienda americana proclamava di aver sviluppato una “tecnologia di Ascolto Attivo” capace di intercettare conversazioni in tempo reale tramite smartphone e smart speaker, per identificare potenziali clienti. In pochi giorni, Google l’ha cacciata dalla sua rete pubblicitaria, mentre Meta e Amazon si sono affrettate a smentire ogni coinvolgimento. Dietro agli annunci sensazionalistici, però, è probabile che non vi fosse nulla di più di un’acuta aggregazione di dati provenienti dagli assistenti vocali, combinati a fonti pubbliche o acquistate, anziché un vero e proprio ascolto di massa.
E proprio gli assistenti vocali meritano un’attenzione a parte. Quando pronunciate “Hey Siri”, “Ok Google” o “Alexa”, il dispositivo si mette in ascolto e invia le vostre richieste ai server cloud del provider. Amazon ha ammesso di utilizzare queste registrazioni, sempre post-attivazione e non continuative, per affinare la pubblicità sul proprio store e sulle piattaforme partner. Se chiedete ogni mattina il meteo, il vostro pattern viene memorizzato; se cercate spesso ricette vegane, ecco comparire annunci di prodotti cruelty-free. La buona notizia è che potete riascoltare ed eliminare manualmente queste registrazioni dalle impostazioni di privacy, riducendo la quantità di dati conservati.
A questo punto, potreste chiedervi come proteggervi senza cadere nella trappola della paranoia. Il primo passo è imparare a leggere le piccole luci di sistema e a controllare regolarmente i permessi delle app: non date accesso al microfono, alla fotocamera o alla posizione se non serve davvero. Utilizzare browser attenti alla privacy, con estensioni anti-tracker come Privacy Badger o adblock, può ridurre drasticamente il data exhaust che autorizzate involontariamente. Inoltre, pulire cookie e cache mensilmente e gestire le preferenze sugli annunci all’interno di Google, Facebook e Amazon vi permette di limitare il tracciamento pubblicitario. Infine, rimanere aggiornati sulle normative in materia di privacy, dal GDPR europeo al CCPA californiano, vi darà gli strumenti per esercitare i vostri diritti e convivere serenamente con le tecnologie digitali.
Letture consigliate per approfondire Per chi desidera andare oltre, ecco alcuni testi che offrono analisi approfondite:
Conoscere questi meccanismi è il primo passo per navigare online con consapevolezza, proteggendo la propria privacy senza rinunciare alle opportunità offerte dal mondo digitale.